Rugby "Oltre le sbarre": quando lo sport contribuisce al ritorno in società

Rugby vuol dire squadra e sacrificio: uno sforzo collettivo in cui aiutare il compagno è la maniera migliore per vincere. E quando si tratta di persone che hanno bisogno di una seconda possibilità, e che vogliono rimediare agli errori commessi, il significato di “vittoria” va al di là del punteggio di una partita.

Italia Scozia, Sei Nazioni 2024
Il progetto della FIR
La Nazionale italiana al Six Nations 2024. Image credit: Antonietta Baldassarre/ Insidefoto

Questa storia nasce da due punti apparentemente lontani tra loro. Da un lato c’è lo sport, uno strumento di crescita non solo fisica ma anche relazionale e collettiva. Dall’altra parte, c’è la realtà del carcere e della pena detentiva che, secondo la nostra Costituzione “deve tendere alla rieducazione del condannato”.

Il progetto Rugby Oltre le Sbarre, promosso da FIR (Federazione Italiana Rugby), nasce da un protocollo di intesa siglato nel 2018 con il DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) ed è oggi attivo in circa 20 tra Istituti di pena e Case Famiglia sul territorio nazionale.

L’obiettivo è quello di mettere in comunicazione i due punti di partenza di questa storia: utilizzare lo sport, il rugby in questo caso, per contribuire alla risocializzazione della persona detenuta.

Rugby oltre le sbarre: una partita iniziata più di dieci anni fa

I primi passi di questo percorso risalgono alle esperienze portate avanti nei carceri di Torino, Porto Azzurro, Civitavecchia e Velletri ormai più di 10 anni fa. Fin dall’inizio, è stato chiaro il risultato a cui tendere: il rafforzamento delle proprie abilità di base, della propria autostima, la gestione dell’aggressività, il consolidamento dei rapporti umani e – soprattutto – il rispetto di un sistema di regole.

Prima di tutto questo, o meglio, alla base di tutto questo, c’è l’importanza di esperienze che mettono in contatto il “dentro” e il “fuori”: due concetti molto presenti nei pensieri delle persone detenute.
Tutto ciò che succede “fuori” è elemento di novità e interesse per il microcosmo di un istituto penitenziario, e non è un caso che una parte del progetto di FIR sia proprio intitolata “In&Out”. Vengono organizzate “masterclass” tenute da ex giocatori e allenatori o, quando possibile, incontri con squadre di rugby: una rete di relazioni preziosa in vista del reinserimento nella società civile.

La realtà carceraria è di per sé un equilibrio che va costantemente garantito, e qualsiasi iniziativa va concertata con tutte le figure interessate: i direttori, gli agenti penitenziari, gli educatori e i volontari.

Rugby oltre le sbarre: il nodo delle infrastrutture

Le infrastrutture certo non aiutano una pratica sportiva che abbia i crismi di una normale attività svolta all’esterno. “Dentro” prevale l’arte di arrangiarsi, e quindi allenamenti ed esercizi vengono adeguati alla realtà in cui ci si trova.

Le case circondariali di Pesaro e Rimini, ad esempio, praticano Rugby a contatto ridotto (“flag” o “touch”), poiché le superfici di gioco, in cemento e ghiaia, rappresentano elementi di criticità che non permetterebbero di svolgere allenamenti completi.

Non mancano però i casi in cui il percorso arriva a compimento anche da un punto di vista agonistico. Attualmente le carceri di Torino e di Bologna hanno due squadre – La Drola e Giallo Dozza – che disputano il campionato di Serie C, mentre le Pecore Nere sono rappresentanti del carcere di Livorno per la categoria “Old”.

Squadre che incontrano i propri avversari in un campionato federale, senza alcuna agevolazione se non quella – di cui probabilmente i giocatori farebbero a meno – di dover giocare tutte le partite in casa, non essendo possibili spostamenti su altri campi.

Rugby oltre le sbarre: la voce del presidente

«“Rugby oltre le sbarre” è un progetto sociale di lungo termine nel quale crediamo fortemente, consapevoli dell’alto impatto che può avere sulla società civile attraverso i valori che il nostro sport incarna», ha dichiarato Marzio Innocenti, presidente FIR.

«Abbiamo sempre trovato nel DAP un partner entusiasta, che siamo fieri di affiancare per aiutare chi ha sbagliato a crescere come individuo in un contesto di comuni intenti e rispetto delle regole naturale in una squadra di rugby e che, da sempre, consideriamo uno dei traguardi più prestigiosi che possiamo raggiungere. Negli anni abbiamo modificato le norme federali per consentire una partecipazione attiva e reale dei tesserati detenuti all’attività agonistica e per permettere l’inquadramento nella categoria arbitrale a coloro che hanno sostenuto il corso federale durante la propria permanenza negli istituti raggiunti dal progetto».

La positiva “contaminazione” non si ferma qui, ha anzi dei lodevoli effetti collaterali.
Anzitutto, sono iniziati i primi episodi di scambio “Dentro-Dentro”, ossia giocatori/detenuti che sono stati trasferiti in istituti penitenziari diversi per poter continuare la loro attività rugbystica.

Negli ultimi anni, proprio dalle carceri di Pesaro e Rimini otto giocatori sono stati spostati alla Dozza di Bologna, per unirsi alla squadra locale.

Rugby oltre le sbarre: la novità del corso allenatori

Dopo l’introduzione di alcune modifiche al Protocollo, e come segnalato dal presidente, dal 2023 è possibile per i detenuti frequentare corsi federali all’interno dell’istituto di pena e ottenere la qualifica di arbitro di primo grado.
La certificazione permette di esercitare il ruolo sia durante che al termine della pena.

Il Progetto “Arbitri Oltre le Sbarre’’ costituisce quindi una nuova offerta formativa che, sostenuta da una individuale assunzione di responsabilità del partecipante, ribalta lo stereotipo del detenuto: il direttore di gara è un facilitatore del gioco cui spetta di garantire il rispetto delle regole, dell’avversario e dei valori dello sport.

I primi risultati si sono visti lo scorso ottobre in occasione di una partita del campionato Under 14 giocata tra CUS Torino e Biella, arbitrata per la prima volta da un detenuto del carcere di Torino.

Ma c’è di più: l’offerta formativa non è limitata ai soli detenuti, bensì aperta a tutte le parti che contribuiscono a far girare la palla ovale tra le sbarre: polizia penitenziaria, funzionari pedagogici, amministrativi, in piena coerenza con l’obiettivo di consolidare le relazioni interpersonali all’interno dell’istituto di pena.

Ad aprile 2024 è invece terminato il corso sperimentale per allenatori di rugby nella Casa Circondariale ‘Le Sughere’ di Livorno, pensato come step ulteriore all’interno del Progetto.

Chiunque abbia anche solo provato a giocarlo, dirà che il rugby è lo sport di squadra per eccellenza, dove l’unica stella è la palla ovale, che ha bisogno dell’impegno e della fatica di tutti per andare avanti.

Un ideale rete di passaggi tra giocatori, allenatori e arbitri che portano a termine l’azione perfetta: dare una seconda possibilità a chi ha sbagliato.

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